lunedì 12 marzo 2012




Manzini, Il Niente. Discorso di Luigi Manzini, in Antiche Memorie del Nulla, a cura di Ossola.


Uno dei temi cari al Barocco e che più ci ricollega a quest'epoca è quello del Nulla. In questo brano Manzini tesse il suo Discorso che tra ironia e mordacità finisce per esaltare il Niente sopra tutto.
E' importante considerare il Nulla poiché prima d'ora non era mai stato altro che una figura retorica; nel Seicento invece, all'interno dell'Accademia degli Incogniti di Venezia soprattutto, il Nulla assume un valore particolare e negativo per protrarsi fino all'annichilamento dell'uomo.

Guccini e il deluso idealismo di Don Chisciotte



"Don Chisciotte" - ( di: Francesco Guccini )

[ Don Chisciotte ]

Ho letto millanta storie di cavalieri erranti,
di imprese e di vittorie dei giusti sui prepotenti
per starmene ancora chiuso coi miei libri in questa stanza
come un vigliacco ozioso, sordo ad ogni sofferenza.
Nel mondo oggi più di ieri domina l'ingiustizia,
ma di eroici cavalieri non abbiamo più notizia;
proprio per questo, Sancho, c'è bisogno soprattutto
d'uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto:
vammi a prendere la sella, che il mio impegno ardimentoso
l'ho promesso alla mia bella, Dulcinea del Toboso,
e a te Sancho io prometto che guadagnerai un castello,
ma un rifiuto non l'accetto, forza sellami il cavallo !
Tu sarai il mio scudiero, la mia ombra confortante
e con questo cuore puro, col mio scudo e Ronzinante,
colpirò con la mia lancia l'ingiustizia giorno e notte,
com'è vero nella Mancha che mi chiamo Don Chisciotte...

[ Sancho Panza ]

Questo folle non sta bene, ha bisogno di un dottore,
contraddirlo non conviene, non è mai di buon umore...
E' la più triste figura che sia apparsa sulla Terra,
cavalier senza paura di una solitaria guerra
cominciata per amore di una donna conosciuta
dentro a una locanda a ore dove fa la prostituta,
ma credendo di aver visto una vera principessa,
lui ha voluto ad ogni costo farle quella sua promessa.
E così da giorni abbiamo solo calci nel sedere,
non sappiamo dove siamo, senza pane e senza bere
e questo pazzo scatenato che è il più ingenuo dei bambini
proprio ieri si è stroncato fra le pale dei mulini...
E' un testardo, un idealista, troppi sogni ha nel cervello:
io che sono più realista mi accontento di un castello.
Mi farà Governatore e avrò terre in abbondanza,
quant'è vero che anch'io ho un cuore e che mi chiamo Sancho Panza...

[ Don Chisciotte ]

Salta in piedi, Sancho, è tardi, non vorrai dormire ancora,
solo i cinici e i codardi non si svegliano all'aurora:
per i primi è indifferenza e disprezzo dei valori
e per gli altri è riluttanza nei confronti dei doveri !
L'ingiustizia non è il solo male che divora il mondo,
anche l'anima dell'uomo ha toccato spesso il fondo,
ma dobbiamo fare presto perché più che il tempo passa
il nemico si fà d'ombra e s'ingarbuglia la matassa...

[ Sancho Panza ]

A proposito di questo farsi d'ombra delle cose,
l'altro giorno quando ha visto quelle pecore indifese
le ha attaccate come fossero un esercito di Mori,
ma che alla fine ci mordessero oltre i cani anche i pastori
era chiaro come il giorno, non è vero, mio Signore ?
Io sarò un codardo e dormo, ma non sono un traditore,
credo solo in quel che vedo e la realtà per me rimane
il solo metro che possiedo, com'è vero... che ora ho fame !

[ Don Chisciotte ]

Sancho ascoltami, ti prego, sono stato anch'io un realista,
ma ormai oggi me ne frego e, anche se ho una buona vista,
l'apparenza delle cose come vedi non m'inganna,
preferisco le sorprese di quest'anima tiranna
che trasforma coi suoi trucchi la realtà che hai lì davanti,
ma ti apre nuovi occhi e ti accende i sentimenti.
Prima d'oggi mi annoiavo e volevo anche morire,
ma ora sono un uomo nuovo che non teme di soffrire...

[ Sancho Panza ]

Mio Signore, io purtoppo sono un povero ignorante
e del suo discorso astratto ci ho capito poco o niente,
ma anche ammesso che il coraggio mi cancelli la pigrizia,
riusciremo noi da soli a riportare la giustizia ?
In un mondo dove il male è di casa e ha vinto sempre,
dove regna il "capitale", oggi più spietatamente,
riuscirà con questo brocco e questo inutile scudiero
al "potere" dare scacco e salvare il mondo intero ?

[ Don Chisciotte ]

Mi vuoi dire, caro Sancho, che dovrei tirarmi indietro
perchè il "male" ed il "potere" hanno un aspetto così tetro ?
Dovrei anche rinunciare ad un po' di dignità,
farmi umile e accettare che sia questa la realtà ?

[ Insieme ]

Il "potere" è l'immondizia della storia degli umani
e, anche se siamo soltanto due romantici rottami,
sputeremo il cuore in faccia all'ingiustizia giorno e notte:
siamo i "Grandi della Mancha",
Sancho Panza... e Don Chisciotte !

Borges e il Don Chisciotte


Borges: gli universi paralleli del Chisciotte
Libro nel libro, storia nella storia: il fascino degli universi che si moltiplicano e del lettore spettatore di se stesso. Sono questi gli elementi del "Don Chisciotte" che hanno istigato la penna di Jorge Luis Borges.
a cura di Francesca Garofoli

A partire dal Pierre Menard, autore del "Chisciotte", in cui Borges immagina - secondo quella proliferazione del possibile e dell'impossibile che gli è propria - un fantomatico scrittore (Pierre Menard, appunto) alle prese con la "riscrittura" del Don Chisciotte, l'impronta critica che lo scrittore argentino dà all'opera dello spagnolo Miguel de Cervantes è segnata dalla confusione dei ruoli: scrittore-lettore, realtà-fantasia, immaginazione-azione.

"Il Chisciotte è un libro contingente, il Chisciotte è innecessario", scrive Borges, rimandando con ciò al valore "altro" della letteratura, estranea alle regole della realtà e della necessità.

"Borges ci propone d'immaginare uno scrittore francese contemporaneo che scriva, partendo da pensieri propri, delle pagine che riproducano testualmente due capitoli delDon Chisciotte: assurdità memorabile, non diversa da quella cui si assiste in ogni traduzione. In una traduzione noi abbiamo una stessa opera in un doppio linguaggio; nella finzione di Borges, abbiamo due opere nell'identità dello stesso linguaggio e, in questa identità che non è tale, il vertiginoso miraggio della duplicità dei possibili. Ora, di fronte a una replica perfetta, l'originale è cancellato e perfino l'origine. Così il mondo, se si potesse esattamente tradurlo e raddoppiarlo in un libro, perderebbe ogni principio e ogni fine per diventare quel volume sferico, finito e senza limiti, che tutti gli uomini scrivono e in cui sno scritti: non sarebbe più il mondo, ma sarebbe, sarà il mondo pervertito nella somma infinita dei suoi possibili". Le parole, in questo caso, sono di Maurice Blanchot, da L'infinito letterario.


Parabola di Cervantes e don Chisciotte

Stanco della sua terra di Spagna, un vecchio soldato del re cercò diversione nelle vaste geografie dell’Ariosto, in quella valle della luna ove alberga il tempo perduto nei sogni e nell’idolo d’oro di Maometto che rubò Montalbano. In mite burla di se stesso, ideò un uomo credulo che, turbato dalla lettura di meraviglie, prese a cercare prodezze e incantamenti in luoghi prosaici che si chiamavano Il Toboso o Montiel.

Vinto dalla realtà, dalla Spagna, don Chisciotte morì nel suo paese natale intorno al 1614. Poco tempo gli sopravvisse Miguel de Cervantes.

Per entrambi, per il sognatore e il sognato, tutta quella trama rappresentò l’opposizione di due mondi: il mondo irreale dei romanzi cavallereschi, il mondo quotidiano e comune del secolo XVII.

Non immaginarono che gli anni avrebbero finito col limare la discordia, non immaginarono che la Mancha e Montiel e la magra figura del cavaliere sarebbero stati, per il futuro, non meno poetici dei viaggi di Sinbad o delle vaste geografie dell’Ariosto.

Perché al principio della letteratura è il mito, e così alla fine.

Clinica Devoto, gennaio 1955

Tratto da:
Jorge Luis Borges
L’artefice

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Magie parziali del Don Chisciotte

Paragonato ad altri libri classici (l’Iliade, l’Eneide, laFarsaglia, la Commedia dantesca, le tragedie e le commedie di Shakespeare) il Don Chisciotte è realista.
...
Joseph Conrad poté scrivere che escludeva adalla sua opera il soprannaturale, perché ammetterlo equivaleva a negare che il quotidiano fosse meraviglioso: ignoro se Miguel de Cervantes condividesse tale intuizione, ma so che nel Don Chisciotte egli contrappose un mondo immaginario poetico a un mondo reale prosaico. Conrad e henry James fecero argomento romanzesco della realtà perché la giudicavano poetica; per Cervantes il reale e il poetico sono antinomie. Alle vaste e vaghe geografie dell'Amadigi oppone le polverose strade e le sordide osterie di Castiglia; immaginiamo un romanziere del nostro tempo che desse risalto con sentimento parodico alle stazioni di rifornimento di nafta. Cervantes ha creato per noi la poesia della Spagna del secolo XVII, ma né quel secolo né quella Spagna erano poetici per lui.
...
Il piano della sua opera gli vietava il meraviglioso; questo tuttavia doveva apparire, sia pure indirettamente, come i delitti e il mistero in una parodia del romanzo poliziesco. Cervantes non poteva ricorrere a talismani o a sortilegi, ma insinuò il soprannaturale in modo sottile, e proprio per questo più efficace. intimamente, Cervantes amava il soprannaturale.
...
Il Don Chisciotte, più che un antidoto contro quelle finzioni, è un segreto congedo nostalgico. Nella realtà, ogni romanzo è un piano ideale; Cervantes si compiace di confondere l'oggettivo e il soggettivo, il mondo del lettore e quello del libro.
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Codesto giuoco di strane ambiguità culmina nella seconda parte; i protagonisti hanno letto la prima, i protagonisti delDon Chisciotte sono, allo stesso tempo, lettori del Don Chisciotte. Qui è inevitabile il ricordo di Shakespeare, il quale include nello scenario di Amleto un altro scenario, dove si rappresenta una tragedia, che è pressappoco la stessa di Amleto; la corrispondenza imperfetta dell'opera principale e della secondaria diminuisce l'efficacia dell'inclusione.
...
Perché ci inquieta che Don Chisciotte sia lettore del Don Chisciotte e Amleto spettatore dell'Amleto? Credo di aver trovato la causa: tali inversioni suggeriscono che se i caratteri di una finzione possono essere lettori e spettatori, noi, loro lettori o spettatori, possiamo essere fittizi. Nel 1833, Carlyle osservò che la storia universale è un infinito libro sacro che tutti gli uomini scrivono e leggono e cercano di capire, e nel quale sono scritti anch'essi.

Tratto da:
Jorge Luis Borges
Altre inquisizioni

Don Chisciotte: relativismo della verità e della realtà instabile



CAPITOLO XLIV
SCIOGLIESI IL DUBBIO SULL'ELMO DI MAMBRINO E SULLA BARDELLA; E SI NARRA LA SINGOLARE AVVENTURA DEGLI SGHERRI DI CAMPAGNA E DEL MIRABILE CORAGGIO DEL NOSTRO DON CHISCIOTTE.

«Qual è dunque, disse il barbiere, l'opinione delle signorie vostre intorno questi galantuomini, che vanno perfidiando che questo non sia un bacino, ma un elmo? — A chi sostenesse il contrario, disse don Chisciotte, direi a tutte prove che come cavaliere mente, e come scudiere mille volte mente per la gola e arcimente.»
— Allora il nostro barbiere maestro Nicola, conoscendo a fondo l'umore di don Chisciotte, volle maggiormente incitarlo, e rendere più clamorosa la burla, perché tutti ne facessero gran risate, e perciò voltosi all'altro barbiere, gli disse:
— Signor barbiere, o chiunque voi siate, siavi noto che io esercito la vostra medesima professione; che corrono da oltre venti anni da che vi sono matricolato, e che conosco uno per uno gl'istrumenti tutti della barbieria. Oltre a ciò fui soldato nella mia prima età, e so molto bene che cosa sia elmo, morione, celata con buffa ed ogni altro arnese della milizia, e intendo di sapere dar conto dei diversi generi di armature e di armi, e dico (salvo però un miglior parere, e rimettendomi sempre al più sano giudizio) che questo mobile ora tenuto da cotesto buon signore, non solo non è bacino da barbiere, ma tanto è lontano dall'esserlo, quanto il bianco dal nero, e dalla verità la menzogna: sostengo però che quantunque questo sia un elmo, non è un elmo intiero. — E così è per lo appunto, disse don Chisciotte, perché gli manca la metà, ch'è il mento. — E così è,» soggiunse il curato indovinando già le intenzioni del suo amico barbiere.
Lo stesso affermarono Cardenio, don Ferdinando, i compagni suoi ed anche il giudice, se non avesse avuto l'animo vôlto a più gravi pensieri per l'affare di don Luigi, avrebbe egli pure aiutato a dar colore alla beffa; ma trovavasi sì concentrato in sé stesso che poco o nulla in fatto vi prendea parte.
— Dio m'aiuti! disse a tal punto il corbellato barbiere, com'è dunque possibile che genti fornite di onore sostengano che questo non sia un bacino, ma un elmo? questa è cosa che farebbe impazzire un'intera università comunque fosse sapiente! Or bene, se questo bacino è un elmo, per la stessa ragione anche questa bardella sarà una sella da cavallo, come ha detto questo signore.
— A me sembra bardella, disse don Chisciotte, ma ho già dichiarato che non voglio pronunziare giudizio sopra di ciò.
— Eppure, soggiunse don Fernando, non v'ha che il signor don Chisciotte che possa decidere, e ognuno di noi si sottomette a lui in affari di cavalleria.
— Io vi giuro, o signori, disse don Chisciotte, che tali e tante e sì strane cose mi sono avvenute in questo castello nelle due volte che vi ho alloggiato, che non mi permetto di rispondere risolutamente sopra quanto qui avviene, persuaso che qui sempre abbia luogo qualche incantesimo. La prima volta mi ha dato molto che fare un Moro incantato che vi soggiornava, e la passò assai male anche Sancio mio fedele seguace; in questa notte medesima poi rimasi appiccato quasi due ore per questo braccio senza saper come o perché m'incogliesse tanta sventura; e però sarebbe, a parer mio, troppo rischioso ogni giudizio pronunziato in mezzo a sì grande confusione di cose. Ho già fatto risposta intorno al dubbio se questo sia un bacino od un elmo, ma non oso definire se quest'altro sia bardella o fornimento da cavallo, e rimetto la decisione al saggio parere delle signorie vostre, ché forse per non esser ascritte alla cavalleria errante, com'io lo sono, non avranno forza contro le loro persone gl'incantamenti che predominano nel castello, e potranno giudicare delle cose come sono realmente, e non già come a me appariscono.»
— Non si può negare, replicò don Fernando, che il signor don Chisciotte non abbia parlato con molta saviezza rimettendo in noi la decisione di questo caso; e affinché ciò proceda colla dovuta regolarità io raccoglierò segretamente il voto di tutti questi signori, e darò poi chiara e piena notizia di quanto giudicheranno.»
Tutto ciò dava da ridere a quelli che conoscevano l'umore di don Chisciotte; ma chi non n'era informato sembrava che tutto fosse una vera pazzia, ed erano specialmente di questo avviso don Luigi e i quattro suoi servitori, non meno che gli altri tre passeggieri giunti per caso a quell'osteria, e che avevano ciera da sgherri di campagna, come erano in fatto. Quegli che più d'ogni altro ne trasecolava, era il nuovo barbiere, il quale vedeva d'innanzi ai suoi occhi trasformato il suo bacino nell'elmo di Mambrino, e pensava che in ricchi fornimenti da cavallo avesse poi a cambiarsi anche la sua bardella. Tutti facevano grande schiamazzo nel vedere in qual modo si andavano da don Fernando raccogliendo le voci dall'uno e dall'altro parlando loro all'orecchio affinché dichiarassero se fosse bardella o fornimento da cavallo quella gioia che aveva occasionata una sì tumultuosa discussione. Raccolti da lui i voti di coloro che conoscevano don Chisciotte, disse ad alta voce:
— Il fatto sta, mio galantuomo, che io sono annoiato di raccogliere tanti pareri mentre ad ogni dimanda ch'io faccio mi si risponde essere uno sproposito l'asserire che questa sia bardella di giumento piuttosto che fornimento da cavallo, e di cavallo di razza; e però dovete avere pazienza, perché a dispetto di voi, e del vostro asino, questo è fornimento da cavallo e non è bardella, e voi per parte vostra adduceste prove assai deboli a sostegno della vostra opinione.
— Dio non mi faccia salvo, disse il barbiere, se tutte le signorie vostre riveritissime non s'ingannano, e così comparisca l'anima mia al tribunale di Dio, come questa è bardella e non fornimento da cavallo; ma così vanno le leggi; come... e non dico di più; né sono già briaco, ma digiuno ancora, se pur non m'avviene pei miei peccati.»
Non movevano meno alle risa l'insistenza del barbiere che gli spropositi di don Chisciotte, il quale disse a tal punto:
— Altro non resta da fare se non che ognuno si prenda ciò che è suo, e a chi Dio l'ha data san Pietro la benedica.» Uno de' quattro servitori di don Luigi, soggiunse: — A meno che questa non sia burla già ordita, io non mi darò a credere mai che uomini di sì retto discernimento, come sembrano essere quelli che qui si trovano, abbiano cuore di sostenere che questo non è bacino; e quella non è bardella; ma poiché veggo che si ostinano in affermarlo, mi persuado che sotto ci covi qualche arcano, perché al corpo di... (e fu quasi per bestemmiare) non vi sarà al mondo chi mi dia ad intendere che questo non sia bacino da barbiere e questa non sia bardella da asino. — Potrebbe anche darsi, disse il curato, che fosse da asina. — Tanto fa, il servitore soggiunse, che in questo non istà l'essenza del fatto, ma sibbene che sia o no bardella, come le signorie vostre sostengono.»
Udendo questo uno degli sgherri di campagna, ch'era allora entrato ed avea inteso il tenore della controversia, pieno di rabbia e di stizza, perché venuta eragli la noia, si fece a dire: — Tanto è questa bardella, quanto mio padre; e chi dice o ha detto diversamente dev'essere briaco. — Menti come villano infame, rispose don Chisciotte, ed alzando il lancione, che non si lasciava mai uscire di mano, gli misurò un colpo sì giusto sopra la testa, che se lo sgherro non se ne fosse schermito, sarebbe morto disteso. Il lancione dando in terra si ruppe in pezzi e gli altri sgherri che videro maltrattare il loro compagno, levaron la voce domandando che tutti dessero mano alla Santa Hermandada. L'oste, ch'era pure della consorteria, si affrettò a dar di piglio all'archibuso e alla spada, e si pose dal lato dei suoi compagni; i servitori di don Luigi tolsero in mezzo il loro padrone perché in tanto scompiglio non iscappasse; il barbiere vedendo che la casa era sossopra, afferrò la sua bardella, e Sancio fece il medesimo; don Chisciotte impugnata la spada, attaccò allora la sbirraglia. Don Luigi intimava ai suoi servi che lo lasciassero che voleva accorrere alla difesa di don Chisciotte; Cardenio e Fernando si eran uniti per sostenerlo nella zuffa; il curato strillava; strillava l'ostessa; sua figlia affliggevasi; Maritorna piangeva; Dorotea era confusa; Lucinda era attonita; donna Chiara sbigottita. Il barbiere bastonava Sancio, e questi dava al barbiere un perfetto ricambio. Don Luigi colpì con un pugno sì forte uno dei suoi servidori che gli fece uscire il sangue di bocca, perché aveva ardito pigliarlo per un braccio affinché non fuggisse; il giudice lo difendeva; don Fernando calcava coi piedi uno sgherro e calpestavalo alla peggio; l'oste tornava a rinforzare le grida domandando che fosse aiutata la Santa Hermandada. Tutto era confusione nell'osteria, né altro vi dominava che pianti, strida, schiamazzi, rimescolamenti, paure, disgrazie, coltellate, sorgozzoni, bastonate, calci e spargimenti di sangue. In mezzo a questo caos ed a questa confusione di tante cose, don Chisciotte si risovvenne della discordia universale seguita nel campo di Agramante, e quindi si fece a dire con un tuono di voce per cui ne rimbombò l'osteria tutta:
— Ognuno si fermi; si rimettano tutte le spade nel fodero; tutti si acchetino, e mi ascoltino tutti quanti hanno cara la propria vita.»
A questa voce terribile tutti arrestaronsi, ed egli proseguì a dire:
— Non vel diss'io, già, o miei signori, che questo castello è incantato, e che senza dubbio qualche legione di demonî vi fa soggiorno? Bramo che vediate coi vostri propri occhi in prova del mio detto com'è venuta e trapiantata fra noi la Discordia che un tempo sconvolse il campo di Agramante; osservate, o signori, in qual modo qua si combatte per lo brando, là per lo cavallo, colà per l'aquila, costà per l'elmo; e tutti pugniamo e nessuno sa quello che si faccia. Orsù vengano le signorie vostre, signor giudice e signor curato: faccia l'uno la parte del re Agramante e l'altro quella del re Sobrino; e attengano di rappacificarci: perché viva Dio, è pure una grande ribalderia che tanta gente di sì alta portata come noi siamo, si ammazzino per cause tanto frivole.»
Gli sgherri che non capivano le frasi di don Chisciotte, e si trovavano malconci da don Fernando, da Cardenio e dai compagni loro, non voleano darsi pace; il barbiere avrebbe voluto finirla, perché nella zuffa si era guasta tutta la barba e la bardella; Sancio come leal servidore, obbedì alla voce del suo padrone; si acchetarono pure i quattro servi di don Luigi vedendo che loro tornava conto di così fare, e l'oste solo andava susurrando, che dovessero castigarsi le insolenze di quel matto, il quale ad ogni tanto metteva in iscompiglio tutta la sua osteria. Finalmente lo strepito cessò; la bardella restò per sella da cavallo sino al giorno del giudizio, il bacino per elmo, e l'osteria per castello nella immaginazione di don Chisciotte.
Rimessa la tranquillità negli animi, e fattisi tutti amici a persuasione del curato e del giudice, tornarono i servi di don Luigi ad insistere che se n'andasse con loro. Frattanto il giudice si consigliò col curato, con don Fernando e con Cardenio intorno al partito che dovesse prendere nella sua difficile circostanza, informandoli di quanto era passato fra lui e don Luigi. In fine accordaronsi nel dire che don Fernando si facesse conoscere dai servi di don Luigi, e loro significasse di avere deciso che il giovane si recasse con lui nell'Andalusia, dove avrebbe trovato, presso il marchese suo fratello, quell'accoglienza che dovuta era al suo merito ed alla sua condizione; poiché si vedeva il giovinetto disposto a lasciarsi mettere in pezzi piuttosto che tornarsene in quel modo e in quell'abito in casa del padre. Riconosciuta la nobiltà di don Fernando dai quattro servi ed intesa la volontà di don Luigi, stabilirono che tre di loro portassero a suo padre la nuova dell'avvenuto, e che restasse l'altro al servizio senza mai allontanarsene, fino a tanto che venissero altre disposizioni rispetto a lui.
A questo modo si assopì quell'incendio per l'autorità del re Agramante e per la prudenza del re Sobrino: ma vedendosi il nemico della concordia e l'odiatore della pace sprezzato e deriso, e che poco frutto acquistato avesse nel porre tutti in sì confuso laberinto, imprese di tentare altri scompigli, suscitando di bel nuovo quistioni e inquietudini. Si acchetarono gli sgherri per avere conosciuto la qualità delle persone colle quali erano venuti a contesa, e si ritirarono dalla zuffa immaginando benissimo che qualunque fosse stato il successo ne andavano eglino a perdere. Uno di costoro per altro (e fu quello macinato e pesto da don Fernando) si risovvenne che fra gli ordini che seco recava, uno ne aveva per don Chisciotte, contro cui il tribunale avea decretato l'arresto per la libertà ch'egli avea data ai galeotti: disgrazia già preveduta da Sancio.
Con questo pensiero, volle lo sgherro rendersi prima certo se i contrassegni rispondevano alla figura di don Chisciotte; e tratta fuori una pergamena trovò tutto quello ch'egli andava cercando. Misesi a leggere adagio (come inesperto lettore), e ad ogni parola guardava don Chisciotte, confrontando i segni del mandato con lui stesso; e accertatosi ch'egli era veramente quel desso, tenendo tutt'ora nella sinistra l'ordine dell'arresto, con la dritta pigliò don Chisciotte pel collare sì fortemente che non poteva nemmeno tirare il fiato, e gridò: «Date mano alla Santa Hermandada; e perché si conosca la ragionevolezza del fatto, si legga quest'ordine, e si vegga che contiene la commissione di legare questo assassino da strada.» Il curato lesse l'ordine: e vide esser vero quanto lo sgherro asseriva.
Ma il cavaliere errante vedendosi maltrattato a sì crudel modo da quel villano malandrino, raccolse quante forze poté mai avere, strinse con ambe le mani lo sgherro per la gola sì fortemente che avrebbe perduta la vita s'altri non accorreva in suo aiuto. L'oste che doveva per necessità unirsi al partito della sbirraglia, accorse ad aiutarla; l'ostessa, che vide il marito involto in una zuffa, tornò a gridare, e così fece Maritorna e la figliuola, chiedendo mercede al cielo ed agli astanti. Sancio vedendo quello che accadeva, disse: «Viva Dio, ch'è vero quanto si va dicendo dal mio padrone circa l'incantesimi di questo castello, non essendo possibile di vivervi un'ora sola in quiete.»
Don Fernando allontanò lo sgherro da don Chisciotte, e con piacere di entrambi sviticchiò loro le mani, colle quali si erano così fieramente abbrancati. Ad onta di tutto ciò insisteva la sbirraglia a voler prigione il colpevole, e lo domandarono ad alta voce, così esigendo il servigio del re e della giustizia, contro quel ladro ed assassino di strada. Don Chisciotte si mise a rider nel sentirsi così chiamare, e con molta gravità, disse loro:
— Ascoltate, gentaglia vile e malnata: chiamate voi dunque assaltare alla strada il donare la libertà a uomini incatenati, il lasciar andare i prigioni, il soccorrere i miserabili, il rizzare i caduti, il dare aiuto ai bisognosi? Oh gente infame e degna per lo basso e vile vostro intendimento che il Cielo non vi renda mai capaci di conoscere il valore che in sé racchiude l'errante cavalleria, né vi faccia mai aprir gli occhi sull'errore e sulla ignoranza in cui siete mancando del rispetto che pur dovreste alla presenza, anzi pure all'ombra di qualsivoglia cavaliere errante! Ditemi, ladroni in quadriglia, e non già sgherri ma assassini da strada (con permissione del tribunale) ditemi: chi fu quell'ignorante che sottoscrisse l'ordine di arresto contro un cavaliere della mia portata? e non seppe che i cavalieri erranti vanno esenti da ogni procedura giudiziale, e che la loro legge è la spada, il tribunale il loro ardimento e le prammatiche del foro la loro volontà? Chi fu il mentecatto, ripeto, cui non sia noto che nessuna nobiltà di cittadino è fornita di tante preminenze ed esenzioni quanto ne gode quella acquistata da ogni cavaliere errante nel giorno in cui si arma cavaliere e si dedica al duro esercizio della cavalleria? Quando mai in fatti è avvenuto che un cavaliere errante pagasse dazio, gabella, tassa, porto o tragitto? o polizza al sarto? o scotto al padrone del castello dov'egli alloggiasse? qual re si rifiutò mai di averlo seco alla mensa? Quale si è quella donzella che non siasi affezionata a lui? e finalmente qual cavaliere errante fu, è, o sarà mai al mondo cui manchi l'animo per dare egli solo quattrocento bastonate a quattrocento sgherri cui saltasse in capo di offenderlo?
Tali cose dicea don Chisciotte; e il curato frattanto attendeva a persuadere la sbirraglia ch'egli era un vero pazzo, di che ne erano prove le opere e le parole; e che in conseguenza desistessero dalla impresa, perché se pure lo avessero arrestato, bisognava poi rimetterlo in libertà a titolo di pazzia. Ma colui che teneva l'ordine dell'arresto, rispose che non erano eglino i giudici competenti della pazzia di don Chisciotte, e ch'era suo preciso dovere di eseguire i comandi dei superiori arrestandolo; salvo poi a chi spetta, di rimetterlo in libertà.
— Va bene tutto questo, rispose il curato ma ora nol dovete arrestare, né si lascerà egli prendere per quanto lo creda. In sostanza tanto seppe dire il curato, e tante pazzie fece don Chisciotte che sarebbero stati più di lui pazzi gli sgherri a non valutare le sue follie. In conseguenza credettero miglior consiglio di rappacificarsi con lui, e di farsi eziandio mediatori della pace fra il barbiere e Sancio Pancia, che stavano tuttavia in accanita baruffa. Gli sgherri dunque, come membri della giustizia, composero la lite all'amichevole per modo che ognuna delle parti ne rimase se non contenta, soddisfatta in parte almeno, ordinando che si cambiassero le bardelle e non le cinghie né le cavezze; quanto poi all'elmo di Mambrino, il curato sottomano e senza che don Chisciotte se ne avvedesse, diede al barbiere otto reali, e n'ebbe la ricevuta colle solite dichiarazioni a reciproca ed eterna cauzione.
Posto fine in tal modo a queste risse, ch'erano le più importanti e principali, restava che i servitori di don Luigi si persuadessero di partire in tre, restando il quarto in compagnia di don Fernando dovunque gli fosse piaciuto di condurlo. Ma la fortuna che avea cominciato a volger propizia, si mostrò a tal punto molto benigna; perché aderirono i servitori a tutto ciò che bramava don Luigi, di che n'ebbe donna Chiara sì gran giubilo che le traspariva dal volto in modo da essere conosciuto da ognuno. Zoraida tuttoché non comprendesse ancora bene gli avvenimenti, si rattristava e si rallegrava secondo gl'indizi degli altri sembianti, e sopra tutto quello del suo Spagnuolo, dal quale non distaccava mai gli occhi, perché lo teneva fitto nel cuore. L'oste che aveva notata molto la ricompensa data dal curato al barbiere, domandò il pagamento della sua polizza per l'alloggio di don Chisciotte, e per la rottura degli otri in un colla perdita del vino, giurando che Ronzinante non sarebbe uscito dall'osteria e neppure l'asino di Sancio se prima non foss'egli restato soddisfatto interamente di ogni suo avere. Il curato trovò ripiego ad ogni cosa, e don Fernando pagò l'oste, benché anche il giudice si fosse di buon volere a ciò offerto.
A questo modo tutti restarono in pace, e così d'accordo che non pareva più che in quell'osteria avesse signoreggiato la discordia che sovvertì il campo del re Agramante, com'erasi cacciato in testa don Chisciotte, ma sì bene la pace e la quiete che regnò ai tempi di Ottaviano Augusto. Di tutto il successo fu universale opinione che si dovesse ringraziare il buon animo e la molta eloquenza del curato, non meno che la liberalità incomparabile di don Fernando.