lunedì 12 marzo 2012

Borges e il Don Chisciotte


Borges: gli universi paralleli del Chisciotte
Libro nel libro, storia nella storia: il fascino degli universi che si moltiplicano e del lettore spettatore di se stesso. Sono questi gli elementi del "Don Chisciotte" che hanno istigato la penna di Jorge Luis Borges.
a cura di Francesca Garofoli

A partire dal Pierre Menard, autore del "Chisciotte", in cui Borges immagina - secondo quella proliferazione del possibile e dell'impossibile che gli è propria - un fantomatico scrittore (Pierre Menard, appunto) alle prese con la "riscrittura" del Don Chisciotte, l'impronta critica che lo scrittore argentino dà all'opera dello spagnolo Miguel de Cervantes è segnata dalla confusione dei ruoli: scrittore-lettore, realtà-fantasia, immaginazione-azione.

"Il Chisciotte è un libro contingente, il Chisciotte è innecessario", scrive Borges, rimandando con ciò al valore "altro" della letteratura, estranea alle regole della realtà e della necessità.

"Borges ci propone d'immaginare uno scrittore francese contemporaneo che scriva, partendo da pensieri propri, delle pagine che riproducano testualmente due capitoli delDon Chisciotte: assurdità memorabile, non diversa da quella cui si assiste in ogni traduzione. In una traduzione noi abbiamo una stessa opera in un doppio linguaggio; nella finzione di Borges, abbiamo due opere nell'identità dello stesso linguaggio e, in questa identità che non è tale, il vertiginoso miraggio della duplicità dei possibili. Ora, di fronte a una replica perfetta, l'originale è cancellato e perfino l'origine. Così il mondo, se si potesse esattamente tradurlo e raddoppiarlo in un libro, perderebbe ogni principio e ogni fine per diventare quel volume sferico, finito e senza limiti, che tutti gli uomini scrivono e in cui sno scritti: non sarebbe più il mondo, ma sarebbe, sarà il mondo pervertito nella somma infinita dei suoi possibili". Le parole, in questo caso, sono di Maurice Blanchot, da L'infinito letterario.


Parabola di Cervantes e don Chisciotte

Stanco della sua terra di Spagna, un vecchio soldato del re cercò diversione nelle vaste geografie dell’Ariosto, in quella valle della luna ove alberga il tempo perduto nei sogni e nell’idolo d’oro di Maometto che rubò Montalbano. In mite burla di se stesso, ideò un uomo credulo che, turbato dalla lettura di meraviglie, prese a cercare prodezze e incantamenti in luoghi prosaici che si chiamavano Il Toboso o Montiel.

Vinto dalla realtà, dalla Spagna, don Chisciotte morì nel suo paese natale intorno al 1614. Poco tempo gli sopravvisse Miguel de Cervantes.

Per entrambi, per il sognatore e il sognato, tutta quella trama rappresentò l’opposizione di due mondi: il mondo irreale dei romanzi cavallereschi, il mondo quotidiano e comune del secolo XVII.

Non immaginarono che gli anni avrebbero finito col limare la discordia, non immaginarono che la Mancha e Montiel e la magra figura del cavaliere sarebbero stati, per il futuro, non meno poetici dei viaggi di Sinbad o delle vaste geografie dell’Ariosto.

Perché al principio della letteratura è il mito, e così alla fine.

Clinica Devoto, gennaio 1955

Tratto da:
Jorge Luis Borges
L’artefice

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Magie parziali del Don Chisciotte

Paragonato ad altri libri classici (l’Iliade, l’Eneide, laFarsaglia, la Commedia dantesca, le tragedie e le commedie di Shakespeare) il Don Chisciotte è realista.
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Joseph Conrad poté scrivere che escludeva adalla sua opera il soprannaturale, perché ammetterlo equivaleva a negare che il quotidiano fosse meraviglioso: ignoro se Miguel de Cervantes condividesse tale intuizione, ma so che nel Don Chisciotte egli contrappose un mondo immaginario poetico a un mondo reale prosaico. Conrad e henry James fecero argomento romanzesco della realtà perché la giudicavano poetica; per Cervantes il reale e il poetico sono antinomie. Alle vaste e vaghe geografie dell'Amadigi oppone le polverose strade e le sordide osterie di Castiglia; immaginiamo un romanziere del nostro tempo che desse risalto con sentimento parodico alle stazioni di rifornimento di nafta. Cervantes ha creato per noi la poesia della Spagna del secolo XVII, ma né quel secolo né quella Spagna erano poetici per lui.
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Il piano della sua opera gli vietava il meraviglioso; questo tuttavia doveva apparire, sia pure indirettamente, come i delitti e il mistero in una parodia del romanzo poliziesco. Cervantes non poteva ricorrere a talismani o a sortilegi, ma insinuò il soprannaturale in modo sottile, e proprio per questo più efficace. intimamente, Cervantes amava il soprannaturale.
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Il Don Chisciotte, più che un antidoto contro quelle finzioni, è un segreto congedo nostalgico. Nella realtà, ogni romanzo è un piano ideale; Cervantes si compiace di confondere l'oggettivo e il soggettivo, il mondo del lettore e quello del libro.
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Codesto giuoco di strane ambiguità culmina nella seconda parte; i protagonisti hanno letto la prima, i protagonisti delDon Chisciotte sono, allo stesso tempo, lettori del Don Chisciotte. Qui è inevitabile il ricordo di Shakespeare, il quale include nello scenario di Amleto un altro scenario, dove si rappresenta una tragedia, che è pressappoco la stessa di Amleto; la corrispondenza imperfetta dell'opera principale e della secondaria diminuisce l'efficacia dell'inclusione.
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Perché ci inquieta che Don Chisciotte sia lettore del Don Chisciotte e Amleto spettatore dell'Amleto? Credo di aver trovato la causa: tali inversioni suggeriscono che se i caratteri di una finzione possono essere lettori e spettatori, noi, loro lettori o spettatori, possiamo essere fittizi. Nel 1833, Carlyle osservò che la storia universale è un infinito libro sacro che tutti gli uomini scrivono e leggono e cercano di capire, e nel quale sono scritti anch'essi.

Tratto da:
Jorge Luis Borges
Altre inquisizioni

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